Non fa eccezione Nicola
Libelli, giovanissimo kellermeister piacentino di Dr.
Bürklin-Wolf,
a Wachenheim, che dopo averci raccontato il Pfalz lo scorso luglio, poco dopo Natale ci ha fatto fare un piccolo viaggio virtuale
tra i Cru della “sua” azienda presso l'accogliente e abituale seconda casa del Giardino, la Taverna del Gusto, eno-tavola di Piacenza guidata da Andrea Libè.
Dr. Bürklin-Wolf, dunque. 83
ettari di vigneti sparsi tra quattro Comuni: Wachenheim, Forst,
Deidesheim e Ruppertsberg, coltivati per l'80% a riesling, da cui si
ottengono circa mezzo milione di bottiglie all'anno.
La famiglia Bürklin
è attiva in campo vitivinicolo dal 1597, ma il nome e la forma
attuale dell'azienda provengono dall'unione in matrimonio di una Wolf
con un Bürklin nel 1875.
All'inizio degli anni '90
del secolo scorso, Bettina Bürklin,
figlia di Albert Bürklin,
prende in gestione l'impresa insieme al marito Christian Von Guradze
col quale, tra le varie cose, converte l'azienda all'Agricoltura
Biodinamica (certificazione ottenuta nel 2005).
Altra importante
innovazione è quella di aver adottato dal 1994 una classificazione
interna dei vigneti di ispirazione borgognona e basata sulla
classificazione del Regno di Baviera del 1828, con le vigne che
vengono sostanzialmente classificate come Grand Cru (G.C. in etichetta)
e Premier Cru (P.C.). I “G.C.” riportano in etichetta solo il nome
del Cru (es. Kirchenstück),
i “P.C.” anche quello del Comune (es. Wachenheimer Böhlig).
Questo
significa che è sparita da tempo l'indicazione del predicato (es.
spatlese) in etichetta, ritenuta indicazione non così importante,
obsoleta e a volte quasi fuorviante, non sufficientemente indicativa
della qualità del vino, tendenza, questa, che si sta generalizzando
in Germania.
Quindi,
ragazzi, forse tra poco sarà ora di riscrivere i libri alla voce:
“le etichette dei vini tedeschi” e a re-imparare a leggere le
etichette in questione. Un evento epocale anche per chi era riuscito,
dopo anni di studi e frustrazioni, a prendere confidenza con la
(apparentemente misteriosa) classificazione dei vini tedeschi e tra
qualche anno dovrà forse cancellare tutto e re-imparare da zero.
I VINI
Tutti i vini degustati sono più o
meno equivalenti della categoria spatlese trocken, nella quale
l'azienda eccelle da tempo, con percentuali alcoliche tra 12,5 e 13.
Attualmente vinificazioni
in botti grandi, o acciaio, con lieviti indigeni a temperatura
controllata.
Viaggio tra alcuni dei
principali Cru aziendali (un P.C. e tre G.C.) di diversi Comuni e
annate sparse dal 1999 al 2012, senza veri e propri fili conduttori.
Ecco i vini, nell'ordine
in cui sono stati assaggiati:
Wachenheimer Böhlig
2012
Da un “premier cru”
di suoli calcarei, gestito in toto per la prima volta da Nicola
Libelli (il 2012 è stata la sua prima vendemmia da kellermeister
in sostituzione di Fritz Knorr).
Uva raccolta il 26
ottobre e mosto fermentato con lieviti spontanei in botti di legno
quarantenni da 2400 litri di capacità.
Naturalmente ancora
giovane e chiuso, o meglio, contratto, comunque caratterialmente
preciso, secco e deciso. Note agrumate al naso, acidità sapida
ravvivata da una lieve carbonica che accentua la sensazione di vino
scalpitante e regala un'idea di leggerezza semplice ed implacabile,
potente, lunga e salata.
Kalkofen 1999
Il Cru “forno da calce”
di Deidesheim si trova in un microclima caldo, come il nome lascia
intendere, e nella versione '99 si esprime su un registro ricco e
grasso, con frutto (esotico) pieno e un residuo zuccherino più in
vista rispetto agli altri vini.
Tratti opulenti, quindi,
ma viva freschezza al palato, che fa da contrappeso alla rotondità
olfattiva e al volume avvolgente dell'attacco di bocca, con
mineralità che emerge con l'ossigenazione insieme a sensazioni
balsamiche mature, di erbe aromatiche.
Ultima annata prodotta al
momento per questo Cru di Ruppertsberg (vigna espiantata, ripiantata
nel frattempo ma ancora troppo giovane per produrre vini) che
significa più o meno “il sentiero del cavaliere” e che gode di
un microclima caldo, in grado di esaltare caratteri di potenza e
apertura olfattiva. Sugli oltre 80 ettari complessivi del Cru,
l'azienda vanta ora una proprietà di 0,80 ettari.
Raccolta ai primi di
ottobre, pressatura a bassa pressione, fermentazione nella
tradizionali botti di legno aziendali e imbottigliamento nel mese di
giugno 2003.
Naso di crosta di pane,
leggermente ossidativo, speziato. Palato ricco ben bilanciato
dall'acidità, in una bella combinazione tra frutto polposo/speziato,
rotondità e austerità.
Kirchenstück 2007
Tra
i Grand Cru a disposizione dell'azienda, il Kirchenstück
di Forst è considerato il Montrachet del Pfalz, 3,6 ettari che nella
classificazione del 1828 avevano il massimo punteggio e che
storicamente sono tra quelli con il massimo valore fondiario in Germania insieme
al mitico Doctor di Bernkastel.
Nell'immagine qui sotto i confini della vigna sono delimitati dalla linea rossa.
Nell'immagine qui sotto i confini della vigna sono delimitati dalla linea rossa.
Qui Bürklin-Wolf ha una parcella di circa mezzo ettaro (il perimetro nero nella mappa sovrastante), su suoli di arenaria, basalto e quarzo, da cui produce solo 2.000 bottiglie ogni anno.
Il vino più complesso e
completo tra i quattro, godibilissimo già ora, ma che dà
l'impressione di dovere ancora trovare pieno respiro ed
articolazione.
Frutto dolce e roccia,
toni leggermente balsamici e piccanti (zenzero), poi agrumi; palato
diritto e ricco, molto succoso e dinamico. Carattere fine ed
elegante, ma pieno e potente, talmente ricco, ampio e sfaccettato da
riuscire a comunicare già ora con souplesse, pur in una fase di
estrema gioventù, parte della sua multidimensionalità.
Vittorio Barbieri
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